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martedì 5 giugno 2012

[cinema] Cosmopolis: Cronenberg e il corpo del Potere



Diciamolo subito: anche stavolta David Cronenberg ci regala un film notevole. In Cosmopolis c’è ancora la sua ormai nota “poetica della nuova carne”, del corpo che anela a diventare macchina ma che spesso ne viene sopraffatto. Il corpo (quello reale, quello scarnificato e quello narrativo) anche questa volta è centrale, in una pellicola dove la carne ha a che fare con il Potere assoluto.
Il giovane ma potentissimo protagonista di Cosmopolis incarna il più che mai contemporaneo potere della finanza, quello che decide e governa i destini del mondo; ha un rapporto ossessivo con il suo corpo (che sottopone a quotidiane visite mediche) e che tiene chiuso in una lunghissima Limousine. Talmente lunga che dentro contiene un mondo: il cosmo del Potere appunto. Lì dentro, in una sospensione spazio temporale che è la parabola stessa del Potere (sideralmente lontano dai comuni mortali), il giovane è circondato da schermi e display i cui diagrammi a noi incomprensibili decidono i destini del mondo. Il sesso non-erotico che pratica di volta in volta (con molte donne, tranne che con la legittima moglie) è teorico come le parole che riempiono quell’auto, una vuota logorrea che non è altro che il cascame della vita vera.
Il personaggio di Juliette Binoche porta lì dentro la sua carica erotica, l’assistente che interrompe il suo jogging porta lì sudore vero: ma nessuna riesce a scalfire in alcun modo quel luogo e quello spazio.
Il Potere è troppo lontano dalla vita reale che comprende (e ne è generata) anche la carne, che scorre fuori dai finestrini, la città dove la gente vive la sua vita protestando e manifestando invano contro l’uomo simbolo che lo incarna. Interno ed esterno sono due spazi separati che possono solo sfiorarsi, due dimensioni temporali diverse che non potranno mai comunicare.
E questa impossibilità – che si esplicita da quando Eric elimina la propria scorta e scende finalmente in strada – raggiunge l’apice alla fine del film, quando incontra il suo attentatore con il quale parla senza comunicare, nemmeno quando si ferisce la mano provando dolore fisico che dovrebbe avvicinarlo a quell’uomo ma che in realtà non porta a nulla. Il Grande Potere dell’economia non si ferisce né potrebbe morire con la morte di un solo uomo.
Sarà per questo che alla fine i due – simbolo entrambi di un mondo a sé – sembrano impossibilitati persino ad eliminarsi a vicenda.