Un blog sul cinema. E tutto il resto

martedì 24 aprile 2012

[cinema] The city is your playground. Parigi firmata Rivette


C’è una cosa grandiosa – tra le altre – che la Nouvelle Vague ha regalato al cinema e al mondo: un modo di raccontare la città mai visto prima e che mai più abbiamo visto da allora.
Sere fa Rai3 ha riproposto Le Pont Du Nord di Rivette, pellicola incredibile sulla vita, il caso, il destino, la ricerca e, appunto, la città e il suo spazio. Le due protagoniste, diverse tra loro e incontratesi accidentalmente, ma unite da qualcosa (destino o puro caso?), vagano per Parigi, ciascuna alla ricerca di qualcosa che anche a loro sfugge: Marie insegue il suo amore lasciato prima di entrare in prigione, Baptiste segue Marie come fosse la sua ombra. Il loro girovagare senza meta e senza risultato (nemmeno qualche spiegazione ai tanti interrogativi che si sollevano nel corso del film: che ha fatto Marie? Che combina il fidanzato? Che significano gli articoli trovati?), le porta però a vivere ed esplorare Parigi, terza protagonista della pellicola.
Baptiste all’inizio gira col suo motorino per le strade della città, da subito presentata come viva, plastica, significante. Il suo sguardo si posa insistentemente su statue, monumenti, dettagli che incontra strada facendo; e sui manifesti che, se riportano una foto di occhi, lei strappa in modo sistematico, come dovesse annientare un nemico. La sua fantasia (o meglio, il suo punto di vista) “anima” Parigi, dove vede nemici, misteri, trappole e anche un mostro gigante da combattere. Due donne alle prese con tanti misteri destinati a rimanere insoluti, che vivono la città, la disegnano fino a farla diventare un unico grande gioco dell’oca, grande come Parigi, che ha per caselle i suoi cantieri (la città in trasformazione), i suoi grandi palazzi (la città periferica), i suoi tanti ponti (la città delle possibilità). Una città reale e simbolica ad un tempo, che Rivette racconta e talvolta rivela, ai suoi smarriti e indimenticabili personaggi.
E a noi, che sogniamo di vedere un film che sappia raccontare un decimo di questo una qualunque città.

domenica 8 aprile 2012

[danza] Vasco cade (d)alla Scala. L’Altra Metà del Cielo


In Tv hanno trasmesso l’Altra Metà del Cielo, l’attesa e pubblicizzata operazione che metteva insieme la musica di Vasco Rossi (in particolare i suoi brani storici dedicati alle donne) e il balletto con la coreografia dell’americana Martha Clarke (al teatro della Scala in replica fino al 13). Sei minuti di applausi e grande successo. Per cosa? Non saprei davvero rispondere, almeno in base a quello che ho visto in TV (premessa doverosa perché magari dal vivo – e lo spero fortemente – sarà stata tutta un’altra cosa).

Da Brava Giulia, passando per Gabri fino a Sally ho visto succedersi uno via l’altro dei quadri didascalici, la trasposizione “letterale” del testo in danza: così Sally cammina davvero per la strada sicura senza pensare a niente, Gabri adesso si spoglia e Giulia cerca un complice così tutto è già più semplice… insomma Vasco dice (in voce) e la coreografa mette in scena (in danza). Ma la danza non è questo, è il contrario di questo spettacolo (fiction? Mezzo musical?). La danza è astrazione e leggerezza, è il corpo che si libra per esprimere concetti, sensazioni, stati d’animo, senza bisogno di recitare con altro.

E la “traduzione” dei pezzi di Vasco – che hanno fatto parte della mia adolescenza e di quella di tanti altri – tradisce anche le sue parole. I testi di Vasco sono – con tutti i loro limiti – semplici, diretti e immediati: poche parole che però sono state in grado di suscitare delle immagini indelebili in ciascuno di noi, immagini che sono magari ben altre (quelle che solo immaginazione e suggestione possono creare) e lontane da quei due che si baciano o si spintonano sul palco perché qualcuno ha voluto restituirci Vasco in danza… col traduttore di Google.