Un blog sul cinema. E tutto il resto

lunedì 30 maggio 2016

[cinema] I am Mr Nobody, the man who doesn't exist. Il cinema “esistenziale” di Jaco Van Dormael


Mr Nobody è un film del 2009, mai distribuito in Italia (e che ha vissuto alterne vicende in giro per i Festival d’Europa).Una pellicola del poco prolifico regista Jaco Van Dormael – che di recente ci ha regalato Dio Esiste e Vive a Bruxelles e che è l’autore di un film meraviglia come Toto le Héros – che tratta di grandi temi come suo consueto; stavolta un discorso davvero ambizioso sulla vita, sulle tante anzi infinite scelte che questa ci offre e su come queste possano, ovviamente, profondamente cambiarla. Rispetto allo Sliding Doors che a tutti viene in mente, qui però non siamo di fronte a una scelta, a un bivio. Qui siamo di fronte a una serie infinita di scelte, dinanzi alla vastità di opzioni occasioni e situazioni che la vita ci offre e che alla fine, sommate e stratificate o anche alternate, rappresentano la vita di ognuno di noi. 

Il protagonista ultracentenario, ultimo dei mortali, sembra raccontare la sua vita; ma la sua storia non ha nulla di lineare. Si sovrappongono persone situazioni momenti che avrebbero potuto essere (?) oppure no, fare di lui un uomo innamorato oppure no, un uomo che vive con una donna depressa e malata o con il suo grande amore. Oppure no.
Difficile se non impossibile rendere a parole un’esplosione narrativa che attraversa piani, dimensioni temporali, prende derive, andando avanti e tornando indietro come se tutto fosse possibile (“la vita o è un parco giochi o è nulla”).


L’espediente che il regista usa, partendo dalla scelta impossibile di un bambino di nove anni che deve decidere se restare con l’uno o l’altro genitore quando questi si separano, è quello di proporre tre possibili storie/vite, ciascuna identificata da una delle donne che il protagonista (uno stralunato e “astratto” nei suoi tratti somatici unici Jared Leto) avrebbe potuto sposare. Non due, ma tre. A indicare, appunto, non un bivio e due opzioni ma tre tra le possibili infinite vite che avrebbe potuto vivere.
Ciascuna di queste – identificata in una donna che avrebbe potuto sposare - rappresenta poi una vita delle tante che ognuno di noi si trova (può trovarsi) a vivere: l’amore-malato per una donna depressa dalla quale non è ricambiato, l’amore-abitudine e senza passione per una donna che non trova in lui conferma del suo sentimento e l’Amore-vero, quello che capita (forse) una volta, quello Ideale e (forse solo) letterario.

In un corto circuito temporale, i tre possibili matrimoni (e quindi le tre possibili vite) sono mostrati con un espediente cinematografico molto efficace: in una chiesta a tre navate, Nemo (“mr nobody”) esce in veste di sposo da ciascun portale, ogni volta con una delle tre spose. E dopo ciascuno di quei matrimoni, verrebbe da dire, Dio solo sa che accade.

Il tutto è reso visivamente con una formula che mescola e cita generi e autori, le cui soluzioni visive ricordano spesso il cinema di Gondry.


Un film ambizioso dicevamo, che tocca i grandi temi della vita fino al più grande, quello dell’esistenza stessa, della quale nessuno di noi può avere prova certa, figuriamoci conoscere la scelta giusta: “Come puoi essere così sicuro che anche tu esisti? Tu non esisti, e neppure io. Viviamo tutti solo nell'immaginazione di un bambino di nove anni. Siamo il frutto dell'immaginazione di un bambino di nove anni messo di fronte ad una scelta impossibile. Negli scacchi si chiama Zugswang. Quando l'unica mossa possibile è quella di non muovere. Vieni a vedere."

Noi forse non esistiamo, ma il cinema dalle grandi ambizioni per fortuna sì.

 

Grazie ad Andrea Siragusa, per il film e la successiva chiacchierata, amico da sempre, compagno di anni di discussioni e elucubrazioni cinematografiche, quasi sempre consumate davanti a una birra.



 

mercoledì 4 maggio 2016

[cinema] Ho visto Stefano Accorsi recitare. Cosa aspettarsi dal cinema italiano dopo Lo Chiamavano Jeeg Robot e Veloce Come il Vento

Forse – e ribadisco forse – si sta avvicinando un momento di trasformazione per il cinema italiano. Non parliamo di svolta epocale o miracolo, ma cambiamento sì. Forse anche chi fa il cinema in Italia è stanco di produrre film alla stregua di fiction per la TV e che da questa si distinguono solo per l’assenza di interruzioni pubblicitarie (ma poi quando passano in tv diventano perfettamente interscambiabili con qualsiasi produzione televisiva su preti, poliziotti o medici).

Forse si sono accorti che in Italia oggi non esiste il cinema della contemporaneità, cioè quello che parla di noi, della nostra vita adesso (e non sarà un caso se da decenni i premi internazionali ci vengono assegnati solo per film che parlano di altre epoche, da Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore a Mediterraneo di Salvatores a La Vita è Bella di Benigni). Fatto sta che in queste settimane abbiamo visto due film che (forse) cominciano ad aprire la strada nella direzione del benedetto contemporaneo: Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Veloce Come il Vento di Matteo Rovere.

Il primo è un film di cui si è parlato molto perché è senz’altro una sorpresa, un film con delle idee, fortissimamente legato a Roma e alla romanità (in una mappa ben delineata) e al contempo universale (risultato apprezzabilissimo questo), che percorre una propria strada che solca – coraggiosamente, se confrontato ai film medi italiani – il cammino della fantasia e tenta la via della originalità.
Da par suo, Veloce Come il Vento è un film anch'esso contemporaneo, legato in questo caso alla Romagna e alla sua tradizione di macchine e motori, ma allo stesso tempo un film di genere se vogliamo (non è un difetto, una volta per tutte chiariamo… di genere sono anche Apocalypse Now e The Shining!), un action movie con buona dose di adrenalina; una pellicola dove il regista prova a dirigere gli attori mettendo finalmente a servizio del film anche il loro corpo inteso come materia plastico espressiva. Che ha il merito di farci vedere un nuovo Stefano Accorsi, fuori dalle pubblicità del gelato, dai film con le solite Giovanne Mezzogiorno, un attore trasformato, scarnito, segnato, che partecipa alla scrittura della storia con l’intera persona e che vediamo finalmente recitare; accanto a lui l’ottima Matilda De Angelis che sappiamo essere già in forza alla fiction TV, ma che ci auguriamo di vedere ancora al Cinema (quello italiano del nuovo corso che – vogliamo scommetterci? – è già iniziato).