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lunedì 8 settembre 2008

[cinema] Il corpo come anarchia: il mito dei Blues Brothers


In questo periodo sono stata coinvolta (assai volentieri) in un progetto che prevede una rassegna di film in lingua originale (per la cronaca a Spoleto). La scorsa settimana in programma c’era la proiezione di uno dei miti del cinema di tutti i tempi: “The Blues Brothers”.
Parlando del medesimo, e rivedendolo ancora una volta a 28 anni dalla sua uscita nelle sale, ho deciso di soffermarmi su un aspetto fondamentale del lavoro di Landis, uno degli elementi che hanno contribuito a renderlo il mito che è: l’anarchia (e come questo concetto viene affrontato).
Tutto il film è ovviamente un inno all’anarchia e al rifiuto delle regole: le regole di un’America consumistica (si rade al suolo un centro commerciale, mecca del consumismo!), repressiva e pronta a mettere mano alle armi in ogni momento, bigotta e spesso razzista, che si contrappone a un’America (e a un mondo) che rischia di scomparire (quello cristallizzato nel periodo dell’infanzia che nel film è rappresentato dall’orfanatrofio).
A contrapporsi ai riti e miti del mondo che un tempo avremmo chiamato WASP (incarnato dai sopraccitati simboli) c’è un’anima R&B, un cuore soul che irrompe, grida, scuote quel mondo e lo travolge col suo ritmo irrefrenabile e la sua musica esplosiva. Ma c’è anche (se non soprattutto) la rivincita su tempo e spazio di un fattore ingombrante, il più ingombrante per ogni essere umano: il corpo.
In The Blues Brothers li corpo è un elemento anarchico che, ribellandosi alle leggi fisiche, contravviene a tutte le regole, si libera di ogni peso, sfida e vince la gravità.
Solo così - sembrano dirci i fratelli Blues - facendo del corpo un oggetto leggero e flessibile tanto da sembrare un cartoon, si può essere padroni del proprio destino e della propria anima. 
Anche se poi per una tale libertà (in fondo spaventosa come ogni vera utopia) alla fine la società chiede sempre un conto da pagare.

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