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martedì 17 dicembre 2013

[cinema] Woody Allen è tornato. E pure io

Se torno dopo molti mesi a scrivere qui è per due motivi: il primo è il sollecito delle tante persone che da tempo me lo chiedono (e che ringrazio qui per la fiducia) e il secondo perché all’età di 78 anni finalmente Woody Allen è tornato. In sé. 
Ovviamente la mia non è una critica a chi ci ha regalato decine di gioielli unici e rari in decenni di forsennate produzioni, ma anzi un grande piacere, quello che ho provato nel vedere Blue Jasmine, l’ultima fatica del nostro, quella che segna – dopo tanti film un po’ sfilacciati e a volte balbuzienti – il ritorno di un regista in forma smagliante.
Quindi bentrovati a voi che leggete e a lui che (per fortuna) scrive ancora.

Blue Jasmine è un film che ha molti pregi, la narrazione, la coerenza stilistica, la capacità di far discutere su un tema universale come quello della caduta e della capacità umana di rialzarsi (o sprofondare) e soprattutto di far discutere mettendo sul tavolino temi che non riguardano solo una classe (quello agiatissima che viene rappresentata sullo schermo) ma tutti noi, meccanismi nelle cui pastoie finiamo ogni giorno.

Il film funziona perché tratta di umane debolezze nella considerazione di tutti i punti vista;  la ricca e viziatissima protagonista (una sfolgorante Cate Blanchett da Oscar, così come gli altri protagonisti, tutti incredibilmente bravi e in parte) che potrebbe inizialmente indurre una forte antipatia, riesce invece a farci diventare empatici e a capire come possa la perdita di denaro e status sociale diventare un dramma che distrugge la vita e conduce alla follia. Pian piano capiamo come i valori sui quali ognuno di noi basa la propria vita possano diventare fatali se non impariamo a dare il giusto peso a noi stessi, a prescindere da ciò che ci circonda e al contesto in cui viviamo (operazione sensata e semplice a dirsi, difficilissima, quasi impossibile da realizzare).

La costruzione della pellicola – tutta incentrata sulla dicotomia falso/vero bugie/verità, a partire dal nome Jasmine – funziona perfettamente. L’uso del flashback non come salto indietro ma come doppio piano temporale, è un meccanismo affascinante e perfettamente funzionale, finalizzato non solo alla “spiegazione” dei fatti ma soprattutto allo svelamento dello stato d’animo della protagonista e degli altri protagonisti, ci avvicina a loro e al loro mondo.
Il personaggio della sorella e del suo fidanzato si intersecano al mondo lontanissimo di Jasmine nel tentativo di un’assimilazione che in teoria potrebbe realizzarsi ma che nella realtà (cioè nella realtà di quella persona) non potrà mai avvenire.

Uno sfasamento che inizia con la rivelazione dei rapporti extraconiugali del marito, che creerà una falla sempre più grande e che non potrà culminare se non sulla strada della follia.

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