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lunedì 14 luglio 2008

[cinema] Per favore non chiedermi la trama


Non so se a qualcuno di voi accade lo stesso, ma una delle domande che mi vengono rivolte più spesso per sapere com’è un film che ho visto o che consiglio di vedere è: “di che parla?” o “mi racconti la trama?”, “che genere è?”.
Domande apparentemente banali e innocue che però mi mettono sempre in difficoltà (lo dichiaro così magari qualcuno me la risparmia la prossima volta!).
Dal momento che la domanda è legittima, il problema è sicuramente mio... cerco allora una spiegazione. La prima che mi viene in mente è che - magari inconsciamente - prediligo film dove la storia intesa come trama è secondaria, può esserci o meno, ma non è mai questo che fa a differenza...
Come si fa a riassumere a parole Mullholland Drive o Deserto Rosso? Come spiegare che Won kar-wai è uno dei più grandi innovatori del cinema provando a raccontare una storia che non sembra (e forse non lo è) scritta in un copione ma che nasce e si materializza attraverso la cinepresa?
Beh a me pare assai difficile. Ma difficoltà (o incapacità) personale a parte, mi chiedo il perché di queste domande ricorrenti... perché dopo oltre un secolo di arte cinematografica e dopo le sue trasformazioni escatologiche filosofiche tecnologiche e linguistiche abbiamo ancora bisogno di sapere “che genere è?” “di che parla?”. Mi sembrano quesiti impossibili anche per la pittura o la scultura, per quale motivo dovrebbero trovare risposta per la settima arte?
Forse la causa sta nel nostro bisogno di catalogare ed etichettare (ancora!?); forse nella poca disponibilità a lasciarsi andare davanti a qualcosa di ignoto che può rivelarsi un’emozione troppo forte; forse nella paura di non essere all’altezza degli stimoli e delle provocazioni che vengono da una pellicola; forse nella pigrizia che pone limiti alla voglia di riflettere, scoprire legami e riferimenti. Forse nell’abitudine alla televisione che tutto definisce e prepara, che ci conforta perché se anche ci stacchiamo dallo schermo per andare in bagno o per una settimana di vacanza, le storie e le trame sono lì, inamovibili, prevedibili e immutate, rassicuranti.
Personalmente preferisco faticare un po’ di più. A volte - credetemi - dà una grande soddisfazione e un inatteso piacere.

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